TOLLERANZA O ACCOGLIENZA?

Cari amici,

in questi giorni mi è passato per le mani il "santino" ricordo della mia ordinazione; l'immagine che allora avevamo scelto per la nostra ordinazione diaconale era una rappresentazione della lavanda dei piedi tratta dal Vangelo di Giovanni (13, 1-15).

Questo brano del Vangelo viene letto al Giovedì Santo e vi si respira in senso di familiarità carica di amicizia. Contiene moltissimi e rilevanti messaggi. Vorrei condividerne con voi uno, intitolandolo: "Accoglienza e non conquista dell'altro".

Mi sembra di notare che nell'arco degli ultimi 50 anni ci sia stata una profonda evoluzione, con numerose svolte del pensiero e degli atteggiamenti; vorrei evidenziarne almeno tre.

La prima è la coltura dell'ostilità (o del nemico). Questa cultura coltiva un atteggiamento improntato all'ostilità e alla nemicità, nel quale si guarda all'altro come all'avversario da battere, da espellere. È la cultura della difesa violenta e anche dell'offesa; nemici, poi, sono tutti quelli che pensano diversamente, che abitano in altri luoghi, che professano altre religioni. In questa cultura la teologia, quando affronta un tema, parte sempre dagli avversari, si pone contro di loro; è una teologia della contrapposizione che porta inevitabilmente alla lotta, all'esclusione del diverso.

Questa coltura esisteva anche al tempo di Gesù ed è quella che ha provocato la sua morte.

Negli anni Sessanta-Settanta incomincia a prendere piede in molte coscienze la cultura della tolleranza. Questa parola vuol dire non tanto ”sopportazione”, ma consenso, accettazione della diversità: esprime la cultura della differenza. Si parla di tolleranza politica: acconsentire che vi siano più progetti politici; si parla di tolleranza educativa: non imporre agli altri e specificamente ai propri figli la propria esperienza; quindi di tolleranza religiosa: ammettere che vi siano vie diverse per andare a Dio e per avvicinarsi al mistero e, all’interno della religione cattolica, che siano possibili varietà di accettuazioni e diversi modi, seppur non contraddittori, di interpretare il Vangelo.

Questa tolleranza dà la possibilità di stemperare l’uniformità e di sgelare la rigidità e, soprattutto, schiude alla libera ricerca e al confronto aperto.

Ma oggi a me pare che sia in atto un’altra grande svolta: il passaggio dalla cultura della tolleranza a quella dell’accoglienza. La tolleranza è un valore perché permette la varietà delle esperienze, consente la manifestazione delle originalità proprie e di ciascuno; però essa include anche una certa indifferenza, un certo individualismo: ognuno pensa a sé, non combatte l’altro, ma sta per conto suo; lascia che l’altro sia l’altro, ma senza coinvolgimenti, senza calore, senza partecipazione. La tolleranza crea una società di singoli, ciascuno con la sua libertà ma senza fraternità, comunione e comunicazione.

L’accoglienza invece è un atteggiamento più denso e più umano: l’accogliere include la tolleranza ma anche la supera; indica che l’altro non viene conquistato, posseduto, ma rispettato nella sua diversità; non viene catturato, inglobato: rimane se stesso, ma è riconosciuto nei suoi valori, nella sua cultura, nelle sue intuizioni che si vogliono conoscere per potersene arricchire. L’altro non è più un estraneo: è un fratello, un amico.

Allora il verbo “accogliere” va coniugato insieme a “conoscere”: io voglio conoscere il “diverso” per crescere. La cultura occidentale vuol conoscere la cultura orientale per lasciarsi fermentare; la religione cattolica vuol conoscere altre religioni per sviluppare maggiormente il senso del mistero; così dalla conoscenza nasce il confronto, non per giudicare o condannare, ma per discernere, per crescere.

Se leggiamo attentamente il brano del Vangelo a cui facevo riferimento all’inizio, vi troviamo presente questo stimolante messaggio: lavarsi i piedi gli uni con gli altri è simbolo dell’aiutarsi a purificare le proprie idee, a pulire i propri comportamenti per crescere verso Dio in pienezza: “Se non ti laverò i piedi, non avrai parte con me”.

“Accogliere” è permettere che gli altri entrino in me per interpellarmi, aprirmi e farmi crescere.

Buona Quaresima a tutti

Don Daniele diacono